70 anni di storia, una vita di Sardegna: Maria Bonaria Anedda
Da ormai 70 anni svolgiamo il nostro lavoro in Sardegna, immersi nelle sue tradizioni e nelle straordinarie caratteristiche di questa magica Isola. Da questo traguardo nasce un progetto che valorizza il tramandare e l’innovare le antiche conoscenze del territorio, attraverso il racconto di storie di persone che, con il proprio operato, arricchiscono la cultura sarda. Mettendoci tutta la loro anima.
Oggi vi presentiamo la tradizione del pane “su crispèsu” e l’esperienza di Maria Bonaria Anedda, una delle poche persone che ancora oggi tramandano e custodiscono le preziose conoscenze legate a questo pane.
In una giornata di fine aprile arriviamo nel piccolo paese di Orroli, nella zona del Sarcidano, incastonato tra i tipici paesaggi montuosi dell’entroterra sardo. Qui incontriamo Nicolino e Maria Bonaria, una coppia che custodisce rispettivamente l’arte della xilografia, lui, e l’arte della panificazione sarda, lei. I due ci accolgono calorosamente nella loro casa e laboratorio, mostrandoci le loro opere d’arte: dalle tavole di legno finemente intagliate, raffiguranti la bellezza della cultura sarda e del suo territorio, all’elaboratissimo pane Su Crispèsu. Il tempo scorre veloce tra le storie e le esperienze raccontate dalla coppia, facendoci entrare in due mondi affascinanti e sempre più rari nella contemporaneità. Ma ora addentriamoci nella storia di Maria Bonaria e del crispèsu.
La tradizione del crispèsu

A Orroli nasce la tradizione di un pane speciale, un’elaborata creazione pensata per celebrare l’unione del matrimonio. Durante la vigilia delle nozze, un corteo di giovani incuriositi accompagnava fino alla casa degli sposi il suggestivo pane nuziale, su crispèsu, insieme al corredo matrimoniale, su sciugàriu. Tutti accorrevano a vederlo, perché rappresentava una dimostrazione delle abilità della sposa davanti all’intera comunità. Questo pane veniva spesso realizzato dalle mani stesse della donna, ma talvolta era commissionato a esperti ed esperte di quest’arte.
Il candore della sua pasta, appena colorata con lo zafferano, la ricchezza degli elementi plastici e figurativi, e l’intera forma del crispèsu lo rendevano un contenitore simbolico di purezza, capace di invocare prosperità e abbondanza per la coppia alle soglie della nuova vita insieme.
Su crispèsu era una parte fondamentale della tradizionale “processione” che la sposa compiva fino alla sua nuova casa, attraversando le vie del paese. Spesso lo portava a cùccuru, sulla testa, in un grande cesto rivestito da un telo ricamato e ancorato tra grossi pani bianchi di pasta dura. All’arrivo del corteo nella nuova abitazione, lo sposo era solito offrire un dono, s’istrìnas, alla sposa che, come una benedizione, aveva portato con sé il prezioso pane.
Il crispèsu veniva poi esposto in sala da pranzo, in cucina o nella camera da letto, dove restava fino al suo naturale disfacimento.
La forma del crispèsu

Su crispèsu si distingue per la sua forma unica, scultorea, sottile ed elaborata. La sua realizzazione si articola in due modalità e composizioni estetiche:
- Le decorazioni di pane possono essere costruite su un’anima di filo di ferro, con un’altezza di trenta-cinquanta centimetri, formando una sorta di baldacchino baroccheggiante sormontato da una croce. Questa struttura viene poi rivestita di bianchissimo impasto di grano duro, poi abilmente modellata per creare rifiniture ornamentali come smerlettature e rose. La composizione del pane si arricchisce poi con piccole figure di pane, coccoèddus di pasta dura in fogge: animali, vegetali, astrali, umane e divine; punteggiate di zafferano. Infine, viene adagiato un rosario di pane per completare l’opera.

- Su crispèsu si forma su una fronda di ramo d’alloro, fissata in un grosso moddizzòsu o in un coccòi di pasta dura, modellato con uccelli, rose, sa soriàna – margherite selvatiche. Vi sono appesi numerosi coccoèddus dalle forme più varie: le iniziali degli sposi, coroncine, cavallucci, cuori, ecc. Il rosario di pane, mai assente dall’opera, veniva adagiato sui diversi ramoscelli. A completare la decorazione si aggiungevano coriandoli di carta dorata e argentata sulle foglie, e un fiocco di raso bianco in cima. Questo era il s’alluèri, detto anche crispès’e is poburus, il crispèsu dei poveri, un alberello ricco di frutti di pane.
L’arte della panificazione sarda e Maria Bonaria

Dopo essere stati accolti dalla coppia, Maria Bonaria ci ha subito portato a vedere la sua opera d’arte: un pane mai visto prima. La prima cosa che ha catturato la nostra attenzione è stata la complessità della composizione: un intero baldacchino finemente decorato con smerlettature, piccole rose, coroncine di pane, angeli, campanelle e l’immancabile rosario adagiato sull’intera opera. Da lì abbiamo scoperto la storia di Maria Bonaria e della sua passione per la panificazione sarda.
L’amore per quest’arte è sempre stato presente in lei: fin da bambina aveva visto e fatto il pane in casa, ma è stato solo dopo aver frequentato un corso di specializzazione che ha scoperto il suo talento per la creazione di pani finemente decorati. Il suo interesse era così profondo che il suo primo crispèsu lo ha realizzato completamente da sola, affidandosi soprattutto all’istinto creativo per l’aspetto decorativo. La sua stessa maestra di panificazione era rimasta stupita da un risultato tanto bello.

Col tempo, Maria Bonaria si è specializzata nella creazione del pane cerimoniale su crispèsu, anche grazie all’amicizia con Tzia Maria Carrus, che le ha insegnato la cottura nel forno a legna e altre fasi tipiche della panificazione sarda, mettendo così in risalto il senso di comunità che caratterizza questa lavorazione.
Per anni, Maria Bonaria ha portato quest’arte in giro per l’Italia, partecipando a fiere ed eventi e valorizzando la ricchezza delle tradizioni sarde. Tutto ciò ha fatto nascere in lei il desiderio di trasmettere questi saperi a chiunque ne avesse voglia, attraverso corsi o partecipazioni a rappresentazioni, affinché una tradizione tanto preziosa non vada perduta.
70 anni di storia, una vita di Sardegna
L’incontro con Maria Bonaria e con l’arte del crispèsu ha messo ancora più in risalto l’importanza del legame con il territorio e della cura delle tradizioni sarde, quelle antiche conoscenze che custodiscono l’anima della Sardegna.
Nelle parole della protagonista abbiamo ritrovato lo stesso spirito con cui tramandiamo e innoviamo la tradizione cerealicola e molitoria della terra del grano, quella che ci ha resi ciò che siamo. Ma anche valori come la tradizione, la famiglia, l’umiltà e la trasparenza, gli stessi che guidano il nostro lavoro da ormai 70 anni, quando i campi di grano della Marmilla, con la loro resilienza e autenticità, ci hanno dato la forza per dar vita al nostro sogno, fin dal 1955.
Per celebrare questo importante traguardo, vogliamo dare spazio a un progetto speciale, dedicato a raccontare le storie di personalità sarde che, con il proprio operato, contribuiscono a preservare antichi mestieri e tradizioni dell’Isola o ad arricchire la realtà sarda nei più diversi ambiti, dalla gastronomia all’artigianato, dall’arte alla scienza.